La città di Lecco sita sul ramo orientale del lago di Como, e sulla sponda sinistra del fiume Adda, tra i monti della Grigna e della cresta del Resegone, è celebre per essere il luogo in cui lo scrittore Alessandro Manzoni visse l’età adolescenziale nella villa di famiglia e dove ambientò il romanzo i ”Promessi sposi”.
Difatti l’inizio dei Promessi Sposi è una splendida fotografia di Lecco e del territorio circostante, raccontata con armoniosa leggiadria dall’autore che l’ha resa famosa in tutto il mondo.
Sembra quasi che lo scrittore l’abbia vista dal lago e poi dall’alto, perché delinea con precisione la conformazione naturale di Lecco. Un lago tutto a seni e golfi, incorniciato dalle catene montuose che proteggono la città: il San Martino e il Resegone, dall’inconfondibile profilo a sega, e i tre torrenti che tagliano Lecco dall’alto quasi in parti uguali.
Un lago che si restringe e prende il corso del fiume Adda, le cui rive proprio a Lecco sono congiunte dal ponte Azzone Visconti. Tutto intorno pendii, poggi, campi e vigne con casali e ville e boschi che abbracciano la montagna.
“Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. La costiera,formata dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti contigui, l’uno detto di san Martino, l’altro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega: talché non è chi, al primo vederlo, purché sia di fronte, come per esempio di su le mura di Milano che guardano a settentrione, non lo discerna tosto, a un tal contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome più oscuro e di forma più comune. Per un buon pezzo, la costa sale con un pendii lento e continuo; poi si rompe in poggi e in valloncelli, in erte e in ispianate,secondo l’ossatura de’ due monti, e il lavoro dell’acque. Il lembo estremo, tagliato dalle foci de’ torrenti, è quasi tutto ghiaia e ciottoloni; il resto, campi e vigne, sparse di terre, di ville, di casali; in qualche parte boschi, che si prolungano su per la montagna.”
I promessi sposi ( fatti che si svolgono sullo sfondo della campagna lombarda e della città di Milano, tra il 1628 e il 1630 durante il dominio spagnolo, che vedono protagonisti Renzo e Lucia, due giovani filatori, che hanno un sogno…quello di convolare a nozze )
è un celebre romanzo storico di Alessandro Manzoni, ritenuto il più famoso e il più letto tra quelli scritti in lingua italiana. Preceduto dal “Fermo e Lucia”, spesso considerato romanzo a sé, fu pubblicato in una prima versione nel milleottocentoventisette (detta “ventisettana”); rivisto in seguito dallo stesso autore, soprattutto nel linguaggio, fu ripubblicato nella versione definitiva fra il milleottocentoquaranta e il milleottocentoquarantadue (detta “quarantana”). Il romanzo si basa su una rigorosa ricerca storica e gli episodi del diciassettesimo secolo, come ad esempio le vicende della monaca di Monza (Marianna de Leyva y Marino) e la grande peste del milleseicentoventinove – milleseicentotrentuno, si fondano su documenti d’archivio e cronache dell’epoca. Il romanzo di Manzoni viene considerato non solo una pietra miliare della letteratura italiana – in quanto è il primo romanzo moderno di questa tradizione letteraria – ma anche un passaggio fondamentale nella nascita stessa della lingua italiana.
I promessi sposi, inoltre, sono considerati l’opera più rappresentativa del romanticismo italiano e una delle massime della letteratura italiana per la profondità dei temi (si pensi alla filosofia della storia in cui, cristianamente, opera l’insondabile Grazia divina nella Provvidenza) e per la rivoluzione dell’economia della vicenda in cui, per la prima volta, i protagonisti sono gli umili e non più i grandi della storia.
L’identità culturale lecchese è testimoniata da un interessante itinerario storico-letterario sulle tracce dei luoghi che furono di ispirazione al grande romanziere milanese.
Manzoni nacque il 7 marzo 1785 a Milano. Frutto di una relazione adulterina di Giulia Beccaria, figlia del letterato illuminista Cesare Beccaria, venne riconosciuto dal conte Pietro Manzoni per evitare lo scandalo. In seguito alla separazione dei due coniugi, Alessandro fu costretto a lasciare la madre. Nel 1795 Giulia Beccaria cominciò a convivere con Carlo Imbonati, con cui presto si trasferì a Parigi. Il piccolo Manzoni venne inviato a studiare in collegi religiosi dal 1791 al 1801. La sua formazione intellettuale, spontaneamente illuministica e razionalistica, lo porterà a intrattenere una serie di rapporti con Vincenzo Cuoco, che nel 1801 aveva pubblicato un saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, il cui fallimento attribuiva all’astrattezza del movimento illuminista. Uscito dal collegio, Manzoni manifestò un atteggiamento di disgusto nei confronti dell’insegnamento tradizionale e religioso, e si avvicinò a posizioni giacobine. Nel 1801 compose il poemetto il Trionfo della libertà, imbevuto di sentimenti democratici e anticlericali. Dal 1801 al 1804 visse con il padre nella Milano napoleonica, dove si cimentò con una produzione letteraria ispirata ai principi del neoclassicismo e da ideali democratici, ma presto manifestò la sua insoddisfazione per l’evoluzione politica del regime napoleonico. A Milano conobbe e frequentò Vincenzo Monti, che ospite una volta di Giulia Beccaria a Parigi, ha modo di parlare a Carlo Imbonati di Manzoni, il quale decise di invitarlo nella capitale francese. Ottenuto il permesso del padre, Alessandro Manzoni si preparò a partire, ma nella primavera del 1805 lo raggiunse la notizia della morte di Carlo Imbonati. Giunto a Parigi, ebbe il primo incontro con la madre, con la quale scoppiò un vero e proprio amore. Rimase a Parigi fino al 1810 e, durante il suo soggiorno, in omaggio alla madre e alla figura di Carlo Imbonati pubblicò il carme In morte di Carlo Imbonati in endecasillabi sciolti. Nel carme il poeta immagina un’apparizione in sogno di Imbonati che gli impartisce precetti di virtù utili per la sua attività letteraria. A Parigi entrò in contatto con il gruppo degli “idéologues”, intellettuali che ripensavano criticamente i presupposti e gli esiti della Rivoluzione. Concentravano la loro attenzione sul contrasto tra natura e società, nella consapevolezza dell’influenza della tradizione e della storia. Respingevano il predominio assoluto della ragione e vivevano criticamente il fallimento degli ideali illuministici. Importante per Manzoni fu Claude Fauriel, suo punto di riferimento costante. Alessandro Manzoni, a contatto con quell’ambiente, manifestò la sua insoddisfazione per l’Illuminismo e i suoi esiti, e alimentò il suo desiderio di aderire a valori che fossero assoluti e collettivi, ponendo così le premesse per quel clima spirituale e intellettuale, che lo porterà alla conversione sia di tipo religioso, sia intellettuale del 1810. Nel 1808 Manzoni si sposò a Milano con Enrichetta Blondel con rito calvinista (Enrichetta proveniva da una famiglia di fede calvinista). Enrichetta entrò in contatto con un prete giansenista di Genova, l’abate Degola, avvicinandosi così alla fede cattolica. Nel 1810 venne celebrato nuovamente il matrimonio con Alessandro Manzoni secondo il rito cattolico. Nello stesso anno Enrichetta e Alessandro assistettero al matrimonio tra Napoleone e Maria Luigia d’Austria. Nel trambusto della festa Manzoni perse di vista la moglie, e venne colto da una crisi d’angoscia, crisi che da allora lo accompagneranno sempre sotto forma di agorafobia. A quanto si racconta si sarebbe rifugiato nella chiesa di San Rocco e per la prima volta avrebbe pregato Dio. Episodio molto famoso che riduce a un momento eccezionale una storia di pensieri ed emozioni ben più complessi di cui Manzoni non parlò mai.
(La cappella della villa di Lecco)
La villa fu residenza della famiglia Manzoni per due secoli fino a quando venne venduta nel 1818 dallo scrittore alla famiglia Scola, che la mantenne inalterata fino agli anni ’60, quando fu ceduta al Comune di Lecco. In questa villa, Alessandro Manzoni trascorse quasi tutta l’infanzia e l’adolescenza.
Il Museo Manzoniano espone in 10 sale, ciascuna legata ad un tema differente,le prime edizioni del romanzo, manoscritti, cimeli relativi alla vita ed alle opere di Alessandro Manzoni. Gli ambienti del piano terra sono rimasti con gli arredamenti originali dello scrittore al momento della vendita. Fanno parte del percorso anche la Cappella e le cantine.
Villa Manzoni è un edificio in stile neoclassico situato a Lecco nel quartiere Caleotto.
Trasformato in museo letterario fu la residenza della famiglia di Alessandro Manzoni che vi trascorse, come lui stesso scrive nell’introduzione al “Fermo e Lucia”, tutta l’infanzia, l’adolescenza e la prima giovinezza
Nel millenovecentoquaranta fu dichiarata Monumento Nazionale da Re Vittorio Emanuele.
Il primo della famiglia che abitò nella casa del Caleotto fu il quadrisavolo dello scrittore, Giacomo Maria Manzoni “abitante ab Caliotto, territorio di Lecco”, come si legge in un documento del 15 agosto 1612. Dopo di lui tutti gli antenati dello scrittore vissero in questa casa e quasi tutti vi nacquero, come pure suo padre, Pietro Manzoni nato il due luglio 1736.
Targa posta dalla famiglia Scola sul muro esterno dell’edificio
Fu ristrutturata negli ultimi anni di vita del nonno, che si chiamava anch’esso Alessandro (1686 – 1773) e gli interventi continuarono con Pietro Antonio (1736 – 1807), il padre del romanziere, che con il fratello, monsignor Paolo Manzoni (1729 – 1800) diede alla villa l’aspetto attuale.
Le mappe dell’epoca riportano la costruzione identica in pianta all’attuale, i fondi agricoli “vitati” e “moronati” cioè coltivati a viti e gelsi, e il giardino all’italiana, che si trovava sul fianco destro della villa.
Nella villa i Manzoni si trasferirono circa nel 1620 dalla Valsassina; la villa dovette poi subire radicali modifiche. Alessandro Manzoni, che fu il primo deputato in alcuni “Convocati Generali” del Comune di Lecco tra il 1816 e il 1817, dovette vendere tutta la proprietà del Caleotto alla famiglia Scola nel 1818, la quale, nel 1875, fece apporre all’esterno della villa una targa commemorativa per il centenario della nascita del poeta. Su questa targa erano scritte le seguenti parole:
“Alessandro Manzoni in questa villa sua fino al 1818 si ispirava agli “Inni”, ”Adelchi”, ai “Promessi sposi” ove i luoghi, i costumi, i fatti nostri e se stesso immortalava”.
I luoghi manzoniani sono siti, edifici, quartieri, serviti da ispirazione e citati da Manzon nel romanzo I Promessi Sposi. Per alcuni le citazioni sono precise, per altri la corrispondenza è determinata dalla tradizione, come nella presunta casa di Lucia, a volte con più di una assegnazione per lo stesso luogo. Presenti principalmente a Lecco, a Milano e in Brianza. Inoltre si riferiscono ed esprimono lo spirito e la psicologia dei personaggi attraverso la loro descrizione: un esempio è il castello con l’Innominato, oppure il palazzotto con don Rodrigo.
“È l’inespugnabile fortezza in cui vive e opera l’Innominato, situata in un punto imprecisato lungo il confine tra il Milanese e il Bergamasco e distante non più di sette miglia dal palazzotto di don Rodrigo: il luogo è descritto all’inizio del capitolo ventesimo, quando il signorotto vi si reca per chiedere l’aiuto del potente bandito nel rapimento di Lucia e fin dall’inizio si presenta come un castello truce e sinistro, specchio fedele della personalità del signore che vi risiede. Infatti sorge in cima a un’erta collina al centro di una valle “angusta e uggiosa” che è a cavallo del confine dei due stati, accessibile solo attraverso un sentiero tortuoso che si inerpica verso l’alto e che è dominato dagli occupanti del castello, che sono dunque al riparo dall’assalto di qualunque nemico; il castello è come un nido di aquile in cui l’innominato non ha nessuno al di sopra di sé e da dove può dominare anche fisicamente su tutto il territorio circostante, di cui egli è considerato l’assoluto padrone (i pochi birri che si sono avventurati lì sono stati uccisi e nessuno oserebbe addentrarvisi senza essere amico del bandito).
All’inizio del sentiero che conduce in alto c’è un’osteria che funge da corpo di guardia, la quale, a dispetto dell’insegna che mostra un sole splendente, è nota come la “Malanotte” e in cui stazionano “bravi” dell’innominato armati fino ai denti: qui si ferma don Rodrigo quando giunge insieme ai suoi sgherri e viene precisato che nessuno può salire al castello armato, per cui il signorotto deve consegnare ai bravi il suo schioppo. In seguito viene accompagnato all’interno della fortezza e percorre una serie di oscuri corridoi, con bravi di guardia ad ogni stanza e varie armi appese alle pareti (moschetti, sciabole, armi da taglio…), mentre la sala in cui avviene l’incontro con l’innominato non presenta dettagli rilevanti, cosa che può dirsi anche per altri “interni” che appariranno nei successivi episodi.
Dopo il rapimento Lucia è condotta da Monza al castello in carrozza (il viaggio dura più di quattro ore) e una volta che il veicolo è giunto ai piedi del sentiero che sale alla fortezza, di fronte alla Malanotte, esso non può proseguire a causa dell’erta ripida e la giovane è trasferita su di una portantina insieme alla vecchia serva dell’innominato. Questa conduce poi Lucia nella sua stanza, cui si accede tramite una “scaletta” e dove poco dopo giunge anche l’innominato; la stanza è spoglia e non presenta alcuna descrizione particolare, così come la camera in cui dorme il bandito e che viene mostrata dopo, della quale si dice solo che ha una finestra che si affaccia sul lato destro del castello, verso lo sbocco della valle (da lì l’uomo vede la gente che accorre dal cardinal Borromeo, giunto in visita pastorale al vicino paesetto che non dev’essere troppo lontano da quello dei due promessi, dal momento che fra i curati presenti c’è anche don Abbondio).
Questi percorre in seguito la salita al castello in groppa a una mula, insieme all’innominato e a una lettiga che trasporta la moglie del sarto del paese, con il compito di rincuorare Lucia nel momento in cui verrà liberata: una volta giunti alla fortezza i due sono fatti entrare e apprendiamo che vi sono due cortili, uno più esterno e un altro interno. Sulla strada del ritorno il curato osserva con una certa apprensione lo strapiombo del dirupo che è costretto a rasentare e maledice la mula in quanto procede sul ciglio del burrone, tirando infine il fiato solo quando è fuori da quella valle dalla fama sinistra).
Lo stesso don Abbondio, Agnese e Perpetua torneranno lì molti mesi dopo, per cercare rifugio nel castello a causa della calata in Lombardia dei lanzichenecchi, durante la guerra di Mantova: l’innominato ha già raccolto al castello molti uomini e ha disposto armati e posti di guardia in vari punti della valle, cosicché il luogo è perfettamente difeso. I tre giungono alla Malanotte a bordo di un baroccio procurato dal sarto e qui trovano un folto gruppo di armati, quindi procedono a piedi lungo la salita e Agnese rabbrividisce al pensiero che la figlia ha percorso quella stessa strada prigioniera dei bravi. Vengono accolti benevolmente dall’innominato che offre loro ospitalità e le donne vengono sistemate in un quartiere a parte, che occupa tre lati del cortile più interno del castello (nella parte posteriore dell’edificio, a strapiombo su un precipizio); il corpo centrale che unisce il cortile interno a quello esterno è occupato da masserizie e provviste, mentre nel quartiere destinato agli uomini ci sono alcune camere riservate agli ecclesiastici e don Abbondio è il primo a occuparne una. Lui e le due donne si trattengono al castello “ventitré o ventiquattro giorni”, quindi, nel momento in cui il pericolo dei lanzichenecchi è cessato, l’innominato li accompagna di persona alla Malanotte dove fa trovare una carrozza, e questa li porta poi al loro paese. È questa l’ultima apparizione dell’innominato nel romanzo e lo stesso può dirsi anche del suo castello.
Il luogo è stato giustamente interpretato come un riflesso “simbolico” dell’indole del suo signore, che vive nella sua solitudine asserragliato su un’alta montagna e rende il proprio maniero inaccessibile a chiunque non voglia fare avvicinare: tale è la condizione dell’innominato sino al ravvedimento, poi è lui stesso a scendere dall’altura per incontrare il cardinale e giungere alla conversione, per cui il castello è in certo qual modo immagine dell’isolamento del peccato che l’uomo spezza andando a parlare con il Borromeo.
Data l’identificazione tra il personaggio manzoniano e la figura storica di Francesco Bernardino Visconti, si pensa che il suo castello fosse quello i cui resti sorgono ancora nella cittadina di Vercurago, sulla strada che un tempo collegava Bergamo a Lecco (rimangono in piedi un torrione e parte della cinta muraria).
Lecco è panoramicamente la più bella città sul Lago di Como, qui l’Adda esce dal Lario formando il Lago di Garlate; tutt’attorno una grande cerchia di monti rocciosi dalle forme bizzarre: il Resegone, il Due Mani, il San Martino e sull’altra sponda del lago il Moregallo. Notevole è l’importanza turistica, sportiva e alpinistica di Lecco (famosi sono I ragni di Lecco), potenziata da ottimi impianti di risalita.
Abitato in età preistorica, villaggio fortificato, poi municipio romano, importante borgo nel MedioEvo, libero Comune nel XII secolo, quindi nemico di Como nella guerra dei dieci anni, Lecco passò poi sotto il giogo dei Della Torre e dei Visconti. Proverbiale è la laboriosità dei lecchesi, nel MedioEvo nella lavorazione dei bozzoli e nella filatura della seta, dal 1992 Lecco è diventata una provincia della regione Lombardia. Il centro storico, quasi privo di monumentalità architettonica, è caratterizzato da una dignitosa edilizia ottocentesca, in gran parte modellata dagli interventi in chiave neoclassica di Giuseppe Bovara, allievo minore di Luigi Cagnola.
Il figlio più illustre di Lecco è sicuramente Antonio Stoppani ( Lecco 15 agosto 1824- Milano 1°gennaio 1891) geologo, paleontologo e patriota italiano.
L’opera inaugurata il 25 ottobre 1927 a Punta della Maddalena, avvenne curiosamente lo stesso giorno del Monumento a Mario Cermenati, una scultura marmorea collocata poco distante. Cermenati, naturalista e geologo, fu il fondatore del Musei Civici di Lecco.
Consiglio una gita in Valsassina e al Piano dei Resinelli, tra le dolomitiche creste delle Grigne…
I Piani Resinelli, situati sulle Prealpi Lombarde, sono adagiati su una grande sella ai piedi del Gruppo delle Grigne e si estendono sui Comuni di Abbadia Lariana, Mandello del Lario, Ballabio e Lecco; dalla loro posizione privilegiata si può godere di un’incomparabile vista che spazia dalle Alpi Retiche fino al Monte Rosa, dominando la pianura sottostante, il lago di Lecco ed i bacini dell’Alta Brianza. Il Massiccio delle Grigne, situato sulla sponda orientale del Lago di Como, tra Lecco e Bellano, è raggiungibile attraverso diversi percorsi con partenza dai Piani Resinelli; di grande attrattiva paesaggistica, geografica e geologica, nonché rinomata palestra di roccia, esso può considerarsi uno dei rilievi più importanti a pochi chilometri (circa sessanta) dalla città di Milano. I Piani Resinelli toccano la quota media di 1300 metri sul livello del mare, e si raggiungono in pochi minuti di automobile (circa trenta) dalla cittadina di Lecco, seguendo le indicazioni per la Valsassina, e passando per il paese di Ballabio.
Raggiunto il Belvedere uno scenario meraviglioso mi è apparso agli occhi. Tutti i colori autunnali…profumi di un territorio che visito per la prima volta. Notevole la sensazione di benessere.
Con la stima di sempre.
Angelo RISI