Il significato di trekking deve essere ricercato nel verbo inglese to trek, che significa fare un viaggio lungo, camminando piano. Un mix tra camminata in mezzo alla natura ed escursionismo.
La F.I.E. (Federazione Italiana Escursionisti) collega tra loro gruppi, associazioni e club in tutta Italia. Promuove l’escursionismo e le attività a contatto con la natura. Organizza corsi di formazione per accompagnatori escursionistici nazionali. Tramite le associazioni ad essa affiliate interviene nelle scuole ed accompagna nelle escursioni i diversamente abili. Organizza giornate nel nome dell’escursionismo. E’ la rappresentante italiana della Federazione Europea Escursionismo F.E.E. con il mandato di progettare, segnalare e mantenere in ordine i Sentieri Europei che attraversano l’Italia nelle varie direzioni. Essendo io, formato e tesserato, ho accolto prontamente la possibilità di accompagnare gli alunni del Pisacane in questa avventura organizzata in collaborazione con:https://www.facebook.com/groups/132863133536890/
E’ stata quasi d’obbligo una prima tappa a Rofrano, laddove nasce il fiume Faraone, che alimenta l’intera vallata del Mingardo. Abbiamo percorso l’itinerario naturalistico alla volta delle Fistole del Faraone, sotto la guida degli esperti escursionisti dell’Associazione: Carlo e Pasquale . Le Fistole del Faraone sono alle pendici del monte Raia del Pedale ” 1521 metri “, da queste si forma il fiume che a valle assume il nome di Mingardo. Ha una portata media complessiva di circa 580 – 600 litri al secondo.
Una natura incontaminata…laddove fuoriesce l’acqua…elemento fondamentale per la vita dell’intero ecosistema. Uno spettacolo unico…che ha interessato i ragazzi.
Lasciato Rofrano ci siamo avventurati nel percorso trekking ” La grava del Vesalo“. Di grande interesse speleologico e scientifico è uno dei fenomeni carsici più famosi agli speleologi europei. Il più grande inghiottitoio nel complesso appenninico Alburni-Cervati. Il percorso è un sentiero lungo quattro chilometri, con un dislivello di salita di centocinquanta metri, percorribile in circa due ore e con una difficoltà bassa.
Ancora spoglio il bosco, mentre i fiori con la loro effimera delicatezza e i colori sono il controcanto ideale per gli alberi, imponenti e statici . È anche l’equilibrio fra queste forme complementari a rendere il bosco de “la grava del Vesalo” un ambiente magico. I fiori, sono immensamente più piccoli degli alberi ma essendo numerosissimi e molto variopinti, insieme ai raggi di sole che filtrano, illuminano e ravvivano il sottobosco. Spesso passano inosservati perché si tende a camminare tenendo la testa alta per ammirare gli alberi ma basta gettare uno sguardo in basso, ai lati del sentiero o oltre, fra le rocce ed i tronchi degli alberi o lungo i fossetti dove scorre l’acqua o negli avvallamenti del terreno ed allora si è catturati dai loro colori. ed ecco il “bucaneve“…
Il bucaneve (Galanthus nivalis, catalogato da Linnaeus 1753) è una pianta perenne, erbacea ed eretta, della famiglia delle Amarillidaceae. Il nome del genere “Galanthus”deriva da due parole greche: “gala” (bianco come il latte) e “anthos” (fiore). Il nome specifico “nivalis” fa riferimento alla sua precoce fioritura in mezzo alla neve. I riferimenti storici al Bucaneve si perdono nella “notte dei tempi”. Viene chiamato “Stella del mattino” perché è uno dei primi fiori ad apparire nel nuovo anno. Anche le feste religiose (sia cristiane che pagane) fanno riferimento a questo fiore: è una pianta sacra e simbolica per la festa della Candelora (2 febbraio); invece in Imbolc (antica festa irlandese del culmine dell’inverno – 1º febbraio) si dice che il colore bianco del bucaneve ricorda allo stesso tempo la purezza di una Giovane Dea (festeggiata in questa ricorrenza pagana) e il latte che nutre gli agnelli.
Tra le foglie secche fanno capolino i “crocus” (comunemente detto croco), un genere di piante spermatofite monocotiledoni appartenenti alla famiglia delle Iridaceae. Sono piante erbacee perenni con foglie lineari e fiori a forma di coppa, di colore violaceo, giallo, bianco, a cui appartiene la specie comunemente detta zafferano (con gli stigmi rossi). Il nome del genere (Crocus) deriva dal greco Kròkos (c’è un esplicito riferimento a questo fiore nell ‘Iliade di Omero – Libro XIV, versetto 347) che significa “filo di tessuto” e si riferisce ai lunghi stigmi ben visibili nella specie più conosciuta (e coltivata) di questo genere (Crocus sativus). La prima documentazione dell’uso di questo nome lo abbiamo da Teofrasto di Efeso (Efeso, 371 a.C. – Atene, 287 a.C.), filosofo e botanico greco antico nonché discepolo di Aristotele.
La conoscenza di questi fiori va molto indietro nel tempo. Ciò è dimostrato dal fatto che persino la Bibbia nel Libro dei Cantici (4:14) vengono citati come piante aromatiche e odorose. Nell’antica Grecia si usavano per farne corone oppure si spargevano nei teatri o nei letti nuziali. Mentre nell’antica Roma si usava ornare le tombe con questo fiore come auspicio per una vita ultraterrena. Varie sono le leggende attorno al fiore del “Croco”. In una di queste Croco era un giovane innamorato della pastorella Smilliace che venne trasformato in detto fiore ad opera di Venere o in un’altra versione venne trasformato in fiore dal dio Ermes geloso della pastorella. In un’altra si racconta che Croco morì giocando con Mercurio e che dal suo sangue nacque il fiore. In un’altra ancora si racconta che il fiore del croco germogliasse nel momento in cui Paride dava il suo giudizio sulla più bella fra le dee.
Camminando lungo il percorso Trekking siamo tutti intenti a scoprire qualche altro fiore…ed ecco che quasi d’incanto appare ai nostri occhi la “Scilla italica“, con foglie allungate e strette, di un bel verde chiaro, e fiori con sei tepali azzurri uniti alla base. I fiori sono raccolti in un racemo dalla forma piramidale.
Ed ecco che siamo giunti all’inizio del percorco che conduce alla tappa finale del nostro viaggio: l’inghiottitoio.
E’ una zona ricca di acqua, come d’altronde tutta l’area già visitata. Tanti sono gli “abbeveratoi” per gli animali che troviamo lungo il cammino.
Un pallone lasciato a testimoniare il passaggio di ragazzi che spesso, particolarmente d’estate, fanno in questi boschi attività ricreative. Segno di una civiltà discutibile…per quanto i luoghi versano in uno stato di “cura“, non mancano segnali di abbandono di rifiuti.
Lungo il cammino si è potuto osservare la Primula comune (nome scientifico Primula vulgaris, catalogata da Huds 1762). E’ una pianta della famiglia delle Primulacee, che nasce spontaneamente nel sottobosco e fiorisce agli inizi della primavera. Nella letteratura scientifica uno dei primi botanici a usare il nome di “Primula” per questi fiori fu P.A. Matthioli (1500 – 1577), medico e botanico di Siena, famoso fra l’altro per avere fatto degli studi su Dioscoride, e per aver scritto una delle prime opere botaniche moderne. Dioscoride Pedanio (in greco: Πεδάνιος Διοσκουρίδης, Pedànios Dioskourìdes) è stato un medico, botanico e farmacista greco antico che esercitò a Roma ai tempi dell’imperatore Nerone.
I ragazzi sono letteralmente “rapiti” dalla nostra guida…intenta a raccontare del luogo …
Non mancano i “controlli” di noi accompagnatori, a verificare se il gruppo è tutto presente.
Ed ecco qualche “ranuncolo“…una pianta erbacea delle ranuncolacee ( Ranunculus acer ), velenosa, comune nei prati, con foglie palmatopartite, fiori terminali gialli e frutti ad achenio con becco ricurvo. Il nome generico (Ranunculus), passando per il latino, deriva dal greco (batrachion), e significa rana (è Plinio scrittore e naturalista latino, che c’informa di questa etimologia) in quanto molte specie di questo genere prediligono le zone umide, ombrose e paludose, habitat naturale degli anfibi. La denominazione scientifica attualmente accettata è stata proposto da Carl Von Linnè (1707–1778), biologo e scrittore svedese, considerato il padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi, nella pubblicazione “Species Plantarum” del 1753. I ranuncoli sono fiori semplici ma eleganti provenienti dall’Asia. La conoscenza di queste piante è molto antica. I turchi le chiamavano “fiori doppi di Tripoli”; mentre lo scrittore e filosofo romano Apuleio (125 – 170) le nominava come “erba scellerata” a causa della loro tossicità. Così con queste informazioni il botanico italiano Paolo Bartolomeo Clarici (1664 – 1725) introduce la descrizione del ranuncolo in un suo scritto.
Aspettando i ragazzi mi salta all’occhio la presenza del “pungitopo“… è un basso arbusto sempreverde con tipiche bacche rosse impiegate come ornamento natalizio.
Il Pungitopo è un piccolo arbusto sempreverde appartenente alle Liliacee. Possiede rizoma sotterraneo e fusto molto ramificato e tenace, striato longitudinalmente. I getti sono cilindrici, succosi, rossastri, con all’apice un gruppetto di brattee verdognole. Le foglie sono sostituite da numerosi cladodi sessili, appiattiti, ovatolanceolati, terminanti in un mucrone pungente. I fiori sono piccoli, verdastri, isolati o a coppie, inseriti al centro dei cladodi all’ascella di una piccola brattea, fiorisce in inverno nei paesi a clima caldo e altrove da febbraio ad aprile. Il frutto è una piccola bacca globosa di 10-15 mm di diametro, di colore rosso vivo, che matura nell’inverno successivo alla fioritura.
Tante le primule lungo il cammino…
Dopo aver camminato senza alcuna fatica e dopo aver seguito il corso dell’acqua (che dalla sorgente “fistole” arriva all’inghiottitoio per continuare il suo naturale percorso verso le viscere della terra o del mare…) eccoci giunti a destinazione.
Di grande interesse speleologico e scientifico è la grava del Vesalo, uno dei fenomeni carsici più famosi agli speleologi d’Europa. Rappresenta il più grande inghiottitoio nel complesso appenninico Alburni-Cervati. Un inghiottitoio è una cavità, generalmente a forma di imbuto, che si forma a causa del processo di scioglimento delle rocce carbonatiche (come i calcari, le dolomie, i marmi) rese solubili da una reazione tra acido carbonico (anidride carbonica in soluzione acquosa) e il carbonato di calcio di cui le rocce sono composte. L’erosione può assumere forme diverse: superficiale, come avviene per i campi solcati o nelle doline, o più profonda e sotterranea, come nel caso degli inghiottitoi. L’ampia voragine, costituita da un doppio pozzo di 43 e 100 metri al cui fondo si apre una caverna a galleria, nella quale si riversano le acque del torrente Silenzio in piena, è costituita da un susseguirsi di pozzi, cascate e laghetti, definiti cavernose Blanc, Lago Laurino, galleria delle marmitte, Galleria Luberns, Sala La Bruna, Sala del camino, Antro degli Opilionidi, Discesa Durante. La maggior parte di queste caverne sono visitabili solo dagli speleologi.
La notevole umidità e la particolarità del suolo hanno consentito lo svilupparsi di particolari forme di flora e fauna.
Un esempio è la salamandra pezzata. Facilmente riconoscibile per la sua colorazione nera con vistose macchie gialle. Raggiunge i 15–20 cm di lunghezza totale (coda compresa), e le femmine sono in generale più lunghe e grosse dei maschi. La pelle, liscia e lucente, è cosparsa di piccole ghiandole secernenti il muco che ricopre l’animale; il muco ha una funzione battericida (protegge la pelle dalle infezioni), riduce la disidratazione e ha un gusto repellente per gli eventuali predatori. Le tinte vivaci della pelle segnalano appunto che la salamandra non è commestibile: queste colorazioni appariscenti sono dette “colorazioni di avvertimento” (funzione aposematica). La salamandra frequenta ambienti boscati freschi e umidi (in particolare quelli di latifoglie) attraversati da piccoli corsi d’acqua, spesso fondamentali per la riproduzione. Anche la struttura e le caratteristiche dei corsi d’acqua nei quali avviene la deposizione delle larve giocano infatti un ruolo molto importante nel determinare la distribuzione della specie. Corsi d’acqua poco profondi, dall’andamento naturale, con ricchezza di rifugi e substrato ben diversificato hanno maggiori probabilità di ospitare questo urodelo.
Anche la qualità dell’acqua è importante. La salamandra depone infatti solitamente in torrenti poco o per nulla inquinati con ampia disponibilità di macroinvertebrati (crostacei, larve di insetto ecc.) di cui le larve si nutrono. In alcuni casi la salamandra utilizza per la deposizione anche lavatoi, vasche e piccoli stagni alimentati da sorgenti che garantiscono un livello di ossigenazione adeguato. Inoltre la salamandra (essendo notturna) esce la sera, o di giorno se ci sono piogge molto forti.
Salta agli occhi la Cardamine kitaibelii, nome volgare: Dentaria di Kitaibel (famiglia delle Cruciferae). Si può confondere con C. enneaphyllos e C. heptaphylla.
La dentaria di Kitaibel è una specie delle montagne dell’Europa meridionale presente in tutte le regioni dell’Italia continentale, salvo che in quelle del nord-est e in Puglia (la presenza in Valle d’Aosta è dubbia). Cresce in faggete umide, spesso nelle forre e in aree con forte piovosità, su terreni piuttosto freschi e ricchi in sostanza organica, tra 400 e 1600 m circa. Il nome generico deriva dal termine greco ‘kárdamon’ che designava il crescione (Nasturtium officinale), molto simile alle Cardamine con foglie pennate; la specie è dedicata al botanico ungherese P. Kitaibel (1757-1817). Forma biologica: geofita rizomatosa. Periodo di fioritura: aprile-luglio.
Siamo alla conclusione del percorso trekking. I ragazzi continuano a fare domande sul luogo, e Carlo la nostra guida parla del brigante Tardio e della leggenda che vuole che trovò la morte nell’inghiottitoio. Il brigante – partigiano del Cilento Giuseppe Maria Tardio nacque a Piaggine Soprane nel Principato Citra il 1° ottobre 1834 da Paolo e Catarina Alliegro di Rofrano. Ma questa è altra storia che va approfondita …magari un’altra volta.
E così… ci avviamo sulla via del ritorno a scuola.
Ho cercato di raccontarvi quanto da noi vissuto. Mi auguro di aver trasferito delle nozioni e delle emozioni.
Un abbraccio con la stima di sempre.
Angelo RISI