FERTILITY DAY…UNA CAMPAGNA INFERTILE

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Credevo di aver sentito e visto quasi tutto in questa nostra Patria…mi accorgo di aver udito poco e visto niente…

Mi chiedo come è possibile far finta di niente..ignorare…o peggio ancora non ribellarsi ..alle “umiliazioni” di un Ministro della Salute che parla di Fertility Day…quasi un “monito” a chi per “sciagura” combatte con la sterilità o infertilità. Lei, con grande “leggerezza” entra nello specifico..”curarsi per procreare”…per fare dei figli…perché la Nazione ha bisogno di figli. Nessun distinguo tra la infertilità della donna o dell’uomo (coppia)…no bisogna fare dei figli….ma si sa da che mondo e mondo è la donna a partorire…ne consegue quasi che se è il marito infertile, la donna potrebbe essere “inseminata”. Nel caso sia la moglie sterile il marito potrebbe essere un “inseminatore”. Come scriveva Machiavelli: “il fine giustifica i mezzi”.

Da informazioni assunte mi risulta che in Italia nel 78,6% dei casi la coppia non è sterile ma “ipofertile” o “subfertile” e cioè ha difficoltà a concepire ma non le è preclusa la possibilità di essere genitori. Nel restante 21,4% la coppia, invece, è sterile per cause imputabili all’uomo nel 5,9% dei casi o alla donna nel 15,9%.

Il nostro Ministro alla Salute ha così dichiarato:

“Ciò che ci interessa è poter fare prevenzione per permettere alle persone di avere un figlio quando decidono di averlo. Il 15% delle persone in età fertile ha problemi di fertilità che crescono con il passare degli anni. La campagna deve ancora partire e non abbiamo nessun problema a migliorare la comunicazione se necessario. Vogliamo aiutare le persone ad avere consapevolezza sui problemi connessi all’infertilità perché siano libere di decidere. E’ un problema sanitario e non socio-sanitario, un tema quest’ultimo che viene affrontato giustamente in altre sedi”, ha aggiunto.

Mi ha colpito una lettera pubblicata in rete che riporto integralmente:

“Cara Beatrice Lorenzin, dimmi, li hai mai visti gli occhi di una donna sterile o infertile?
Voglio raccontarti un po’ di questi occhi, quelli preoccupati di un marchingegno che ad un certo punto s’inceppa.
I primi si chiamano ovaio policistico. Sono quelli che si spengono nell’aspettare un ciclo che non torna mai e non contano più i giorni che passano, i peli che spuntano e le forze che perdono. Sono gli occhi delle donne che non hanno più una loro ciclicità, che perdono la bussola.
Altri si chiamano PID, e te lo spiego, sono quelle malattie infiammatorie pelviche che potrebbero rendere sterili: molte di queste si sviluppano da una banale infezione. Potrei raccontarti quante preghiere ho visto a occhi chiusi, tra un antibiotico e l’altro, quanti “forse”, quanti “speriamo”, quanti “ma magari… chissà”.
Altri occhi sono quelli della chirurgia demolitiva. Occhi senza occhiali, e il mondo diventa già una nebbia diffusa. Donne nude, senza bracciali, smalto o collane o orecchini, indossano un camice blu con nient’altro sotto, se non le proprie paure. E aspettano. E quando vengono a prenderle, gli strappano via tutto dalla pancia, tutto ciò che anatomicamente le rende donne, ciò che ad un certo punto è impazzito e le ha tradite, quegli organi che sarebbero stati i contenitori della loro sfuggita maternità, ora sono chiusi in barattoli pronti ad essere analizzati.
Altri, più infidi, si chiamano sterilità inspiegata. Sono gli occhi delle donne che iniziano a fare esami su esami, che timidamente accavallano le gambe davanti alla scrivania di un medico di procreazione medicalmente assistita. Sono gli occhi delle donne che si sentono sbagliate, inutili. E non trovano un perché alla loro inutilità.
Già la parola, “sterile”, è odiosa. Sa di freddo, muto. Non racconta nulla.
Tutti questi occhi, mi creda, in realtà raccontano un sacco di cose. Li asciugo, ascolto e consolo quotidianamente.
Tutti questi occhi succedono in un reparto che é anche di maternità, e quando si sente qualche grido in lontananza e vai da loro per la terapia, poi ti chiedono, con un sorriso bellissimo: “È nato un bambino? Come si chiama?”
E ti si cava il cuore dal petto.
…Perché è vero che la prima cosa da dire é che viviamo in uno Stato di merda, dove anche chi gode di salute riproduttiva non ha le capacità economiche per esercitarla, ma c’è gente, invece, che proprio non ce l’ha, la “fertility”, e baratterebbe pure la luna per sentire un calcetto sotto lo stomaco.
E tu, ministro, proclamando quel tuo giorno ridicolo e istituzionalizzando una decisione delicata, intima, personale, in tutti quegli occhi ci hai semplicemente sputato.”
(Sara, un’Ostetrica)

 

Una lettera disarmante…lucidissima..anche nel finale, laddove parla di non riproduttività per incapacità economiche …Percentuale alta di donne e uomini italiani che sono in grado di procreare…ma già questo il Ministro lo ha racchiuso in “aspetto” socio-sanitario, un tema quest’ultimo che (secondo Lei) viene affrontato giustamente in altre sedi”.

Vorrei chiedere alla Ministra Lorenzin se ha fatto indagine sull’intero territorio nazionale su quanti uomini “infertili” fanno i “pendolari tra uno studio medico e un altro…se ha parlato con qualcuno..se è sensibile a questa problematica…??? Non sono sterile, ma provo ad immaginare quanto sia devastante sentirsi uomo a “metà”. Ma già..lei ha parlato del 15%…percentuale delle sole donne…il 5,9% (statistica Ufficiale) degli uomini che ne facciamo? Meglio ignorarli….curiamo le sole donne..che poi le “inseminiamo”.

Se il problema è la bassa natalità…potremmo rivedere la nostra “cultura” in materia di “contraccezione”…di “aborto”…di “adozioni nazionali”…ma lasciamo stare…questo è terreno delicato.

Signora Ministra, la inviterei a tralasciare il Fertility Day e a rivedere nelle sedi opportune l’argomento della bassa natalità nella sua complessità…non disdegnando l’aspetto culturale ed economico.

All’uopo riporto uno stralcio dell’articolo:  “L’Italia sta perdendo la prossima generazione” di Stefano Magni29-05-2014” pubblicato su http://www.lanuovabq.it/it/articoli-litalia-sta-perdendo-la-prossima-generazione-9336.htm

L’Italia è riuscita a battere un altro record negativo. Dopo quello della disoccupazione giovanile e della crisi economica più lunga della sua storia, da ieri si aggiunge anche quello del più basso numero di nascite dal 1861 ad oggi. I nati, in Italia, sono 515mila nel 2013, con una media di 1,42 figli per donna (incluse le donne immigrate residenti in Italia; il tasso di fertilità delle italiane è di 1,29). Lo rileva la statistica Istat. Il record negativo di nascite, finora, era stato registrato nel 1995, con 527mila nascite. La mancanza di nuovi italiani verrà compensata sempre meno anche dagli immigrati, perché la crisi frena il loro arrivo. Nel 2012 gli ingressi sono stati 321mila, -27,7% rispetto al 2007. Aumenta invece il numero di stranieri che se ne vanno (+17,9%) ed è un vero e proprio boom di italiani che cercano fortuna all’estero. Nel 2012 – fa sapere l’Istat – gli emigrati erano 68mila, il 36% in più del 2011, “il numero più alto in 10 anni”. Nel 2012 hanno lasciato il Paese oltre 26mila giovani tra i 15 e i 34 anni, 10mila in più rispetto al 2008. Istat spiega che negli ultimi cinque anni, si è trattato di 94mila giovani.

Per commentare questo disastro demografico, abbiamo contattato telefonicamente il professor Gian Carlo Blangiardo, docente di Demografia all’Università di Milano. Il quale esordisce spiegandoci che “L’anno scorso era il secondo risultato peggiore dal 1861, quest’anno siamo riusciti ad arrivare al risultato peggiore. Mai stati così in basso”.

La causa di questa bassa natalità è la crisi economica?
Sicuramente è una causa, ma non è solo quella. La tendenza a una natalità sempre più bassa c’è dagli anni ’70, quando la crisi non c’era. E’ motivata anche da fattori culturali e di lungo raggio.

Quali sono i principali motivi?
Da un lato la famiglia è sola e deve arrangiarsi a sostenere i figli. Deve sostenere tutti i costi, senza aiuti. Si preferisce, allora, fare un unico figlio, quando si è già attempati e far quadrare le compatibilità legate al mercato del lavoro, soprattutto per la donna che deve conciliare i ruoli di madre e lavoratrice. La diagnosi è stata fatta, la terapia si conosce, i costi ci sono e nessuno intende farsene carico.

Qual è la terapia, allora?
Dare una mano alle famiglie sul fronte fiscale, con detrazioni e assegni fiscali. Sarebbe un aiuto alla crescita dei figli. Occorre un sistema di leggi più amichevole per le famiglie anche nel mercato del lavoro. La società, poi, dovrebbe guardare le famiglie con figli con occhio un po’ più benevolo, riconoscendo il fatto che stanno producendo quel capitale umano che permette al Paese di sopravvivere. Sono tutte cose che, se ci fossero, renderebbero molto: la vicina Francia, con sostegni di natura economica, è riuscita a mantenere dei livelli accettabili di natalità. E la Francia e i francesi non sono né distanti, né molto diversi da noi. Le cose possono funzionare, dunque. Il problema è che qui nessuno le vuole far funzionare.

Ma quali sono le cause prettamente culturali della denatalità?
Economia e cultura interagiscono fra loro. Culturalmente parlando, si è imposto nel tempo il modello della famiglia con due figli. Che alla fine porta a una media di 1,5 figli per donna (attualmente 1,42 in Italia, immigrate incluse): o un figlio unico, o due al massimo. E’ un modello pratico dettato dall’idea di fondo di godere di un benessere anche di carattere materiale, che consenta ai figli di avere tutto ciò che gli si deve dare, istruzione, divertimento e quant’altro. La filosofia del rischio e del sacrificio, che hanno caratterizzato le generazioni passate, stanno scomparendo gradualmente. E questo incide anche su tutti i comportamenti legati alla fecondità si adeguano: le coppie si sposano più tardi. Una donna ha davanti a se solo 7 o 8 anni di vita feconda, avendo il primo figlio dopo i 30 anni. Mentre, da un punto di vista fisiologico, ne avrebbe 35 di anni di vita feconda. Ne utilizza solo una piccola parte e, per di più, proprio la parte in cui il “rendimento” (mi si passi il termine economico) è più scarso, dove la capacità di avere i figli che si desiderano è sempre più contenuta. Tutti questi comportamenti portano alla denatalità.

La denatalità causa la crisi economica e non viceversa?
Le due cose interagiscono fra loro, strettamente. Senza dire che la denatalità ci ha messo in crisi, perché discorsi come capitale umano e forza lavoro non riguardano i bambini di oggi, la caduta della natalità ha contribuito ad attenuare certi tipi di consumi e la velocità di sviluppo economico. La famiglia non rinuncia direttamente ai figli, ma li sposta. Oggi è molto più facile modificare il calendario della fecondità. E i condizionamenti sociali esterni spingono a spostarlo sempre più in là fino alla rinuncia completa.

Alla luce di quanto commentato dal professor Gian Carlo Blangiardo, che rispecchia il pensiero di molti di noi….anzichè instituire il Fertility Day, si rende necessaria una attenta analisi della situazione politica e culturale di questa nostra amata Italia.

Era doveroso uno sfogo…chiedo scusa per l’utilizzo e ringrazio chi ha scritto la lettera e l’articolo.

A voi tutti….Con la stima di sempre!

Angelo RISI

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